15 Dic Edilizia 3d: si può fare!
Prima di costruire una casa in 3D si deve imparare a schizzare un disegno tridimensionale con software in grado di riprendere la manualità tipica della tradizione: di questo e di tanto altro si discusso al Faberlab di Tradate durante l’incontro “Il 3D printing in edilizia. Innovazione tecnologica per costruire su misura”.
A condurre il workshop sono stati il Prof. Gabriele Masera, l’Arch. Marco Muscogiuri e l’Ing. Graziano Salvalai del Politecnico Milano, esperti di tecnologie costruttive, efficienza energetica e progettazione nei campi dell’ingegneria e dell’architettura. Masera, Muscogiuri e Salvalai svolgono attività di didattica e di ricerca presso il Polo Territoriale di Lecco.
Un workshop per fare il punto sulle possibilità che la prototipazione rapida, la produzione digitale mediante stampanti 3D, l’open source e la produzione in serie personalizzata, offrono oggi al settore del mattone.
Tra muri parametrici e software kit, il processo di innovazione in edilizia – così come in altri settori – interessa la linea logica che parte dall’ideazione per passare all’ingegnerizzazione e finire con la realizzazione.
Stampanti 3D nelle costruzioni? Si usano da tempo, ma tra 5 anni al massimo tutti gli studi di progettazione ne avranno una.
Per abbattere i prezzi anche di realizzazione e per rendere più facile e agevole la produzione industrializzata di forme non standardizzate.
Mai come in questi anni, il settore delle Costruzioni sta attraversando cambiamenti epocali. E la tridimensionalità è un’occasione che apre nuovi orizzonti, perché non si tratta più di risolvere solo problemi tecnici ma di unire la forma alla struttura.
L’ornamento del muro, l’elemento estetico, è esso stesso parte dello studio strutturale. Questo, ormai, accade regolarmente: ad Amsterdam con la “Canal House” realizzata con blocchi “stampati” in plastica o a Shangai, dove si può costruire una casa di 200 metri quadrati in sole 24 ore per un costo di 3.600 euro.
Insomma, il 3D sta spiazzando tutti coloro che pensavano ci si potesse fermare per pensare – ancora – se questo nuovo modo di “fare economia” potesse funzionare”. Ebbene, funziona.
E le case sulla Luna non sono più avveniristiche. Anche perché generare le superfici attraverso algoritmi sta appassionando sempre più imprenditori e inventori.
Enrico Dini, toscano, è uno di questi.
Per lui la “stampa 3D su larga scala vuol dire industria delle costruzioni, così come maker significa la nascita di un’economia parallela che non ha niente a che fare con l’economia di cui si parla sui quotidiani”.
Ma per capirne di più, abbiamo intervistato Gabriele Masera (in foto, il primo a sinistra), presente all’incontro e docente al Politecnico di tecnologie costruttive ed efficienza energetica.
Professor Masera, quali prospettive offrono le stampanti 3D per l’edilizia?
«In termini di stampa 3D, vedo la possibilità di prototipazione e più in generale vedo, la realizzazione del miglioramento nel processo costruttivo di parti degli edifici. In particolare di parti complesse o parti dove vogliamo ottimizzare l’utilizzo dei materiali».
Crede davvero che enormi stampanti 3D, sostituiranno gru, ponteggi e manodopera tradizionale?
«Sono scettico a riguardo a queste visioni che immaginano interi edifici realizzati con stampanti di grandi dimensioni; perché gli edifici, lo sappiamo, sono organismi estremamente complessi che in questo momento è difficile ridurre alla relativa semplicità della stampa. Mentre vedo grandi potenzialità per quanto riguarda il miglioramento dei processi produttivi di elementi complessi da mettere in opera»

Eppure in Olanda, negli Stati Uniti, in Cina, già esistono stampanti 3D capaci di “stampare” muri di calcestruzzo. Si parla di risparmi ed efficienza mai raggiunti prima. Utopia o realtà?
«Sono convinto che le visioni, anche utopiche, ci aiutano a progredire. È fondamentale avere argomenti stimolanti su cui riflettere. Vedo però nell’immediato delle applicazioni che siano più specifiche e che risolvano dei problemi più precisi. Del resto la storia dei tentativi di industrializzazione prefabbricata su grande scala del XX secolo, è costellata di fallimenti. Proprio perché è difficile che l’edilizia si adatti a sistemi omogenei. Quindi, secondo me, è utile applicare la fabbricazione digitale all’adattabilità che si richiede alla tecnologia per seguire il progetto che è sempre diverso».
Il settore dell’edilizia in Italia è in crisi e i tristi fatti di cronaca delle ultime settimane ci hanno riportato a parlare del problema del consumo di suolo, è di pochi giorni fa la legge approvata in Lombardia. In Italia c’è bisogno di costruire ancora?
«In Italia dobbiamo costruire sul costruito. È una strategia, probabilmente inevitabile, di densificazione delle città, di miglioramento qualitativo dell’esistente. È chiaro che non siamo in Cina o nel resto del mondo dove comunque l’Agenzia internazionale dell’Energia prevede un aumento del 30 per cento del numero di appartamenti che dovranno essere costruiti, ma nel mondo c’è uno sviluppo del settore straordinario. In Italia, dove il suolo è terminato indipendentemente da quello che possono dire le leggi, il tema della fabbricazione digitale è molto interessante proprio perché ci offre alcuni strumenti con cui implementare il nostro know-how ed esportarlo nel mondo. Per questo dovremmo investire in queste nuove tecnologie»
A proposito di investimenti. A che punto è il Politecnico?
«Stiamo lavorando in molte sedi e in molti dipartimenti per centralizzare gli sforzi sul tema della fabbricazione digitale e dei Fablab proprio per essere di servizio, anche esternamente, a chi sarà interessato a questo tema»