Integrare tecnologia additiva e industria 4.0 per favorire l'innovazione di prodotto

Integrare tecnologia additiva e industria 4.0 per favorire l'innovazione di prodotto

La tecnologia additiva è molto più di un nuovo macchinario da integrare. Per sfruttarne al meglio le potenzialità è indispensabile rivedere completamente approccio alla progettazione e processi
Oltre a sensoristica, integrazione tra macchinari e software, big data e condivisione dei dati, nella definizione più estesa di Industria 4.0 anche la stampa 3D occupa un ruolo fondamentale. Probabilmente, il più dirompente dal punto di vista delle tecnologie abilitanti. Questo, tanto per le potenzialità nel rinnovare completamente un processo produttivo, quanto per la serie di nuove opportunità che rende accessibili, a condizione di essere pronti a cambiare modo di pensare e mettere in discussione anche processi consolidati da anni.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
«Per scaricare tutti i cavalli di cui dispone, la tecnologia additiva ha bisogno di una progettualità completamente rivista, secondo i relativi vincoli – spiega Andrea Bacchetti, ricercatore presso l’Università degli Studi di Brescia, Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Industriale, responsabile del progetto di ricerca Impresa 4.0 –. Per esempio, con la procedura tradizionale alcune geometrie non possono essere realizzate, mentre la stampa 3D elimina vincoli come sottosquadra o limiti alle geometrie interne».
Diversi i potenziali benefici, non solo dal punto di vista economico. La questione risiede nel saperli cogliere, partendo da un indispensabile aggiornamento prima di tutto nell’approccio. «In una piccola impresa in genere è lo stesso titolare a doversi muovere – prosegue Bacchetti -. Ne sente parlare e inizia a chiedersi se può tornare utile, in genere per le attività di prototipazione. Da qui, parte alla ricerca di un supporto prima di tutto consulenziale per individuare il percorso più adatto».
Nelle strutture più articolate invece, l’interesse parte direttamente dall’ufficio tecnico o dal settore ricerca e sviluppo. È generalmente questo il contesto dove si inizia a guardare oltre, per studiare le possibilità di una vera e propria produzione. Applicabilità costi, supporto e integrazione con la produzione tradizionale, sono i diversi aspetti da combinare tra loro, per i quali è difficile indicare una soluzione generica. È tuttavia possibile contare su alcuni elementi di base utili per ogni circostanza. «Il ragionamento si muove sui tre assi di volumi, complessità e personalizzazione – spiega Bacchetti -. Dove i primi sono ridotti e maggiori sono le esigenze degli altri due, crescono le potenzialità della tecnologia additiva». Passare da una considerazione generica alla singola realtà, non è un passo certamente semplice. Importante però, partire dal presupposto di inquadrare la stampa additiva non solo come alternativa a processi esistenti, ma anche e soprattutto come integrazione o affiancamento.
Meglio di ogni altro ragionamento, in situazioni del genere tornano utili esempi pratici. «Nel lungo termine, il settore delle parti di ricambio è la prospettiva più dirompente. Comporta implicazioni di carattere logistico, ambientale e sociale tali da renderlo molto interessante». Basta in effetti una rapida riflessione per rendersene conto. Attualmente il mercato dei ricambi funziona con una produzione preventiva, logistica e stoccaggio, il cui impatto complessivo sul costo è notevole. La manifattura additiva permette invece di far viaggiare i dati invece dei ricambi, passando a una produzione su richiesta, senza costi di magazzino e parti inutilizzate. Bisogna però essere disposti a cambiare radicalmente l’approccio al post vendita, e organizzarsi di conseguenza. Dotando i punti di assistenza di stampanti 3D, o comunque renderle accessibili. Altro fattore da non sottovalutare, la produzione polverizzata fa venire meno i vantaggi della delocalizzazione. Al contrario, la vicinanza con il punto di utilizzo diventa una priorità e un punto di forza.
Il passaggio tuttavia, può essere tutto tranne che automatico e spontaneo. Con una destinazione d’uso completamente diversa, strumenti e materiali inediti, l’intero processo di progettazione va rivisto. Servono quindi competenze specifiche. Limitarsi a sostituire la tecnologia produttiva mantenendo invariati tutti i passaggi precedenti impedisce di sfruttare i vantaggi in misura sufficiente da giustificare l’investimento. Se non si è in grado di assumere nuove risorse umane con competenze specifiche, una fase di formazione è comunque indispensabile per i progettisti attuali.
Solo a quel punto diventa possibile anche sfruttare il potenziale meno evidente. «La riduzione nel numero di componenti per un oggetto e relativo assemblaggio è un altro aspetto molto importante – riprende Bacchetti -. Per esempio General Electrics ha applicato la tecnologia additiva a una turbina che richiedeva oltre venti componenti, realizzati separatamente e quindi saldati. Oltre ai costi di produzione, le giunture rappresentano comunque punti deboli. La stampa 3D permette invece di completare il lavoro con un unico passaggio. Si parla quindi anche di affidabilità e prestazioni, con i benefici diretti sul costo di produzione addirittura meno importanti».
Un ulteriore prospettiva interessante su cui riflettere è legata alla personalizzazione. Non tanto in base alla domanda, quanto guardando invece ai costi complessivi di gestione per apparati. In presenza di macchinari realizzati su misura, pensare ai relativi utensili e ricambi, comunque indispensabili, richiede in genere il ricorso a un terzista, con i costi fissi legati a stampi e avviamenti. Includendo anche questi aspetti nella progettazione in ottica additiva, i benefici sono evidenti.
Anche solo per la natura profondamente innovativa, per quanto lineare, uno scenario così disegnato rischia di apparire comunque complesso e intimorire anche i più volonterosi.