
13 Lug La fabbricazione digitale per architetti e designer
Digital Manufacturing: un rebus (con soluzione) nel design e nell’architettura.

Massimo Bianchini, Dipartimento di Design – Politecnico di Milano
E’ passato più di mezzo secolo da quando un computer è stato collegato a una macchina utensile per la prima volta. Un arco di tempo caratterizzato da grandi cambiamenti nel mondo del progettazione e della produzione. Un’epoca, quella dell’industrial design e dell’architettura dei grandi maestri, che si sta chiudendo per lasciare spazio a un nuovo Millennio che porta con sé opportunità e incognite ancora da decifrare.
Negli anni ‘60 il rapporto numerico tra progettisti e committenti pubblici e privati era nettamente sbilanciato in favore dei secondi. Questo significava per pochi designer e architetti avere più opportunità di lavoro e la possibilità di sviluppare rapporti stabili, duraturi e consolidati con le imprese e territorio. Rapporti che consentivano ai progettisti di conoscere in profondità materiali e tecnologie di produzione concentrandosi sullo sviluppo di soluzioni per un mercato da popolare.
Dagli anni Ottanta ai Duemila la costante crescita del numero di architetti e designer, unita alla globalizzazione del mercato e alla digitalizzazione delle tecnologie per progettare e produrre, hanno reso questo rapporto più vario, competitivo e incerto (anche precario) alla ricerca di opportunità professionali in un mercato caratterizzato dall’iper-offerta di beni e servizi. Il rapid prototyping si diffondeva negli studi di progettazione contribuendo a moltiplicare e accelerare i processi di sviluppo dei prodotti lasciando ai progettisti più tempo nella costruzione di reti di relazioni indispensabili per procurarsi nuovi lavori.
Oggi design e architettura sono professioni di massa che operano in un mercato di personalizzazione di massa. La trasformazione economica connessa alla crisi ha significato per molti progettisti una contrazione della tradizionale domanda di progetto proveniente dalle imprese e da committenti pubblici e privati. Per molti di loro questo vuol dire operare in un contesto con molti più competitor e un surplus di capacità progettuale sul mercato. Allo stesso tempo, le tecnologie per la fabbricazione digitale stanno vivendo una fase di intenso sviluppo che va in due direzioni. La prima verso il mondo della produzione industriale e artigianale, grazie a macchine sempre più performanti e alla comparsa di servizi di produzione on-demand. La seconda verso il mondo della fabbricazione personale grazie a dispositivi sempre più semplici da usare e alla comparsa di luoghi come i makerspace e i fab lab che offrono un accesso facilitato e mirato ai processi di materializzazione delle cose per soggetti finora più lontani da questi processi: cittadini, studenti, professionisti delle industrie creative, addirittura artigiani.
Per designer e architetti questa fase di cambiamento pone un interrogativo: continuare ad operare all’interno di contesti che si conoscono bene ma dove diventa sempre più difficile competere oppure esplorare (anche) contesti emergenti e promettenti che portano però incognite e richiedono un cambio di mentalità o modalità di lavoro?
La buona notizia è che forse le due strade si possono percorrere entrambe e che il mondo della fabbricazione digitale può essere sia un’opportunità per aprire nuove attività che un’opportunità per fare meglio o in modo diverso le attività fatte finora. La fabbricazione digitale non richiede a designer e architetti di prendere decisioni nette o drastiche sul proprio modello di business ma può essere introdotta gradualmente in molti modi. Esistono diversi livelli e modalità di utilizzo della fabbricazione digitale.
“Utilizzare” la fabbricazione digitale (per potenziare la propria offerta di servizi)
Innanzitutto la fabbricazione digitale è l’utilizzo di un mix di tecniche e tecnologie additive e sottrattive a cui si aggiunge la possibilità di inserire tecnologie di controllo. Questo offre ai progettisti la possibilità di realizzare prototipi di nuova generazione che fungono da “dimostratori” (dal vero o in scala) di prodotti, servizi, soluzioni abitative e costruttive. Non più solo prototipi per verifiche formali e strutturali ma prototipi “intelligenti” che incorporano tecnologie digitali, che usano/generano dati e possono inserirsi all’interno di scenari di servizio (pensiamo all’Internet of Things o alle smart cities)
Implementare le competenze sulla fabbricazione digitale significa offrire un servizio di progettazione “su misura” in grado facilitare lo shift tra processi e sistemi di progettazione e produzione per adattarlo alle caratteristiche dei clienti: da analogico a digitale (e viceversa), da additivo a sottrattivo (e viceversa), da hi tech a low tech (e viceversa). Ma significa anche offrire al cliente un progetto concreto già testato che propone un prodotto e illustra la sua tecnica-processo-sistema di produzione/costruzione.
Per compiere questo passaggio i professionisti o gli studi di progettazione – molti dei quali sono dotati di piccoli laboratori di prototipazione – possono attrezzarsi con investimenti contenuti e/o rivolgersi a un crescente numero di service per la stampa 3D e il taglio o ai makerspace che fungono anche da aggregatori di comunità di esperti nel campo del fabbing, dell’elettronica o dell’informatica. Tutto questo implica che designer e architetti si riapproprino di competenze che si generano attraverso l’apprendimento sperimentale. Questa cosa non è semplice, richiede tempo e organizzazione ma fornisce un’arma competitiva in più.
In questo la capacità relazionale del progettista è utile per creare network di competenze multidisciplinari in grado di attivarsi su specifici progetti che prevedono ad esempio l’impiego di più tecnologie.
“Sperimentare” la fabbricazione digitale (per potenziare o innovare la propria attività)
La fabbricazione digitale interessa tanto le organizzazioni quanto gli individui. Uno studio di progettazione può integrare in modo strategico sistemi, processi o servizi per la fabbricazione digitale strutturando uno specifico filone di attività non solo finalizzato alla prototipazione ma che possa evolversi in attività che hanno anche un peso economico. Le opzioni possono essere diverse. Lo studio può erogare servizi evoluti al cliente, oppure può usare o incorporare processi e strumenti per la fabbricazione digitale per tentare la via (difficile) dell’autoproduzione o della microproduzione.
Uno studio di design o architettura può decidere di diventare un centro/laboratorio che utilizza la fabbricazione generale per erogare servizi di vario tipo: dalla prototipazione evoluta alla formazione, dalla consulenza alla ricerca.
Esistono già studi di design che si attrezzano per trasformarsi in laboratori per la fabbricazione digitale. Compiere questo passaggio significa investire in macchine e competenze umane per offrire servizi di nuova generazione, ma significa anche sviluppare nuove forme di relazione con le imprese e con il mercato. Il progettista può infatti usare la fabbricazione digitale per offrire servizi mirati e integrati di progettazione-prototipazione-fabbricazione su piccola e piccolissima scala alle piccole imprese o agli artigiani. Può anche operare in partnership con le imprese stesse occupandosi dei servizi di personalizzazione dei prodotti. Oppure, senza per forza possedere i mezzi di produzione, può sviluppare sinergie con un makerspace o un fab lab per configurare una piccola rete di produzione.
Infine in modo più ardito e sperimentale un progettista può operare come auto-produttore usando la fabbricazione digitale per creare artefatti unici su misura per il cliente. In questo senso i recenti sviluppi di software per il design e l’architettura generativa – progettazione computazionale basata su algoritmi matematici – costituiscono un esempio di come sia possibile progettare e produrre oggetti di arredo, lampade e suppellettili ma anche superfici e componenti per l’architettura. L’autoproduzione non è detto che possa sostenere lo studio ma può servire come integratore economico e come attività sperimentale che accresce la visibilità e la reputazione del progettista o dello studio.
“Produrre” la fabbricazione digitale (per sviluppare nuove attività)
Questo passo, il più difficile, vede il progettista inventarsi e sperimentare nuovi modelli di attività che integrano il design e l’architettura con la digital fabrication con l’obiettivo di mettere sul mercato nuovi prodotti o per creare un nuovo servizio di progettazione-produzione.
Già oggi esistono casi di designer e architetti che si mettono alla prova fabbricando prodotti collegati a processi di fabbricazione digitale ideati, realizzati e gestiti da loro stessi. Stiamo parlando della stampa 3D di micro-architetture (in potenza di interi edifici) e di mobili ottenuta attraverso l’auto-progettazione e auto-realizzazione di una stampante ad hoc oppure la modifica di robot e macchine industriali o ancora la messa a punto di nuovi materiali. In altri casi il progettista o lo studio configurano un proprio sistema di produzione basato da un lato sulla messa a punto di processi di progettazione che originano strutture e oggetti modulari o assemblabili in kit e dall’altro sulla creazione di una rete di produzione distribuita dove le macchine utensili sono dislocate presso artigiani, makerspace e fab lab. Reti in grado di attivarsi in prossimità del cliente quando il cliente richiede il prodotto senza aggravi per chi offre il servizio di produzione.
Compiere questo passo significa maturare una visione imprenditoriale sulla fabbricazione digitale e operare attraverso la creazione di spin-off o start-up di microimprese agili e organizzate per sfruttare le opportunità di finanziamento che propone il mercato.
Certamente tutto ciò può apparire ancora distante e quasi lunare rispetto alla quotidianità professionale di molti designer e architetti, soprattutto se lo si mette in relazione ai recenti sviluppi della digital fabrication, il cui potenziale è ancora da dimostrare. Il punto è come “attrezzarsi” per affrontare il cambiamento.
Allo stato attuale la fabbricazione digitale e luoghi come i makerspace e i fab lab possono offrire una opportunità a designer e architetti: “prepararsi” per il cambiamento. I fab lab possono stimolare i progettisti a sperimentare con le tecnologie, i materiali e i processi di fabbricazione digitale ma possono anche stimolarli a superare l’isolamento individuale in favore di forme di aggregazione basate su progetti collaborativi che mettono in campo anche un nuovo ruolo delle associazioni e degli ordini professionali, scardinando gerarchie, regole e convenzioni.