La stampa 3d supporto per la lean production in azienda

La stampa 3d supporto per la lean production in azienda

Le  tecnologie di Industria 4.o come fattore abilitante della lean production.

Adottare i criteri in uso negli ambienti più grandi e organizzati è un passo decisivo per un salto di qualità: anche strategie all’apparenza lontane come la lean production possono rivelarsi utili.
Per provare a uscire dalla implacabile forbice costi-ricavi tipica della manifattura, da qualche tempo diverse realtà stanno guardando anche alla lean production, filosofia ispirata dalla Toyota, per intervenire a tutto campo su ogni possibile fonte di spreco, senza accontentarsi di diminuirli.
Per lean production si intende infatti l’insieme di processi di semplificazione, innalzamento del valore e riduzione degli sprechi messi in atto dalle imprese per migliorare le proprie performance sul mercato.
Nel caso specifico dell’azienda giapponese, tutto ruota intorno ad alcuni punti chiave. Prima di tutto, il rapporto di fiducia tra impresa e dipendenti, a prescindere dalla mansione.
Obiettivo prioritario è la ricerca della Qualità Totale, vale a dire inseguire l’assenza di difetti nel prodotto, attraverso un controllo costante, lungo l’intero processo produttivo. Al tempo stesso, la ricerca costante di innovazione.

Inoltre, deve essere è immediata la risposta alle richieste del mercato. Questo comporta anche la riduzione delle scorte e la conseguente riorganizzazione della catena produttiva, in modo da evitare sprechi e accumuli nei magazzini. Importante è anche la sincronizzazione delle attività tra linea di produzione e fornitori, sub-fornitori di pezzi, scelti non in base ai prezzi delle commissioni, ma guardando anche al grado di affidabilità e capacità collaborativa.
La qualità del bene o servizio è garantita da diversi strumenti di controllo della produzione, come, ad esempio, l’andon, ovvero uno strumento di controllo visivo diretto sul processo produttivo, utilizzato per fermare la linea in caso di errori nel sistema. Alla base dell’andon, come di qualsiasi strumento coinvolto nel controllo della produzione, vi è il diritto-dovere di ogni operaio di controllare tutte le operazioni, senza di questo la qualità sarebbe compromessa, così come la stessa produzione.
Senza entrare nel merito del principio, ampiamente discusso sul Web, viene da chiedersi se e quanto il ragionamento di base possa chiamare in causa anche chi lavora nel mondo della stampa 3D. Sinonimo di produzione praticamente su misura, o comunque in genere associata a tirature limitate per quantità, la stampa 3D non per questo può chiamarsi fuori da alcuni principi dell’organizzazione industriale. Almeno, non dovrebbe, se si vuole ambire a entrare a pieno titolo all’interno dei processi. «Attualmente il settore è ancora in una fase iniziale – osserva Riccardo Gatti, product designer e docente presso il NABA Nuova Accademia di Belle Arti -. Per affermarsi però, è importante pensare in un’ottica di processo industriale e quindi le esigenze in effetti diventano in qualche modo comparabili».

 
Dall’ottimizzazione di tempi e fasi di lavoro, da ogni possibile accorgimento per ridurre sprechi o errori, fino al coinvolgimento diretto di tutti i protagonisti, gli spazi di intervento non mancano. Oltre all’attività di consulenza a tutto campo, la lunga esperienza maturata in aula, con corsi sui molteplici aspetti della stampa 3D, gli ha permesso di mettere a fuoco alcuni passaggi chiave. Prima di tutto, inquadrare la dimensione in cui si vorrebbe operare. «Parliamo sempre di produzione, anche se secondo me alcuni principi come una catena di montaggio prima o poi andranno messi in discussione – prosegue Gatti -. Si guarda certamente a una manifattura più puntuale, ma concetti come la ricerca della qualità totale restano sempre validi».Quando si affacciano tecnologie dal grande potenziale di innovazione, c’è un errore nel quale è facile cadere. «Non parliamo di uno strumento che andrà a sostituirne un altro – avverte Gatti -. La stampa 3D è una nuova tecnologia destinata ad affiancare quelle esistente, a integrarle. Per questo, è importante rivedere il modo di pensare un prodotto».
Un passaggio estremamente impegnativo, per il quale serve prima di tutto la disponibilità degli operatori e quindi la possibilità di acquisire competenze e accumulare esperienza. In questo, principi rigorosi orientati da subito alla ricerca puntuale del difetto, della fase di processo con margini di miglioramento, possono facilmente avvicinare il momento del ritorno sull’investimento e quindi stimolare ulteriormente l’evoluzione. «Non vale più di tanto la pena di ragionare pensando di poter sostituire strumenti già ottimizzati. Ragioniamo invece sulla prospettiva di realizzare componenti più complessi, ridurre le fasi di assemblaggio producendo insieme parti altrimenti separate e poi montate. Questo significa anche ridurre tempi e margini di errore».
Senza contare naturalmente il potenziale più atteso, quello ancora tutto da esprimere, fino a oggi non considerato semplicemente perché mancavano strumenti in grado di stimolare la creatività. L’aspetto probabilmente più interessante per chi parte da un contesto non industriale, dove la creatività e la libertà di sperimentare subiscono meno vincoli e scadenze.
«Il settore è giovane, c’è certamente ancora tanto da fare. Gli investimenti ormai regolari dei grandi player dimostrano però interesse e prospettive di crescita. Dal canto nostro, quello dei progettisti, non dobbiamo limitarci a guardare alla prototipazione, ma avere il coraggio di pensare in una logica produttiva diversa».
In un tessuto dominato dalla piccola e media impresa, una potenziale marcia in più. Più si lavora su commessa infatti, più c’è un potenziale ancora per buona parte da scoprire e da esprimere. Attualmente, il freno maggiore è proprio il coraggio almeno di guardare in questa direzione. Costi di avvio, formazione e tempi richiesti dalla sperimentazione spesso possono scoraggiare, eppure la possibilità di mettere di fronte al cliente una soluzione in più, o una diversa, è già oggi una realtà. «Anche se la stampa 3D resta comunque in una fase primordiale, la possibilità di sfruttare materiali come il metallo è concreta ed è già in grado di apportare importanti cambiamenti ai processi progettuali».
Sul fronte industriale, si tratta probabilmente una delle direzioni più considerate, anche se il più comune filamento ha già raggiunto un livello di maturità tale da garantire la possibilità di liberarsi da vincoli concettuali. «Spesso, i materiali sono ancora adattati dai processi a iniezione – conclude Gatti -. Anche da questo punto di vista, è necessario investire per arrivare a livello di processi industriali dedicati. Personalmente ci credo e sono convinto dei vantaggi nell’ottimizzare processi importanti, anche proprio per alcuni aspetti legati ai costi e solo all’apparenza secondari. Si tratta infatti di lavorazioni pulite, con scarti minimi e comunque facili da smaltire, quando non riciclabili».